“Le cose fatte innanzi a lui si possono chiamar dipinte, e le sue vive, veraci e naturali, allato a quelle state fatte dagli altri.” (Giorgio Vasari)
“Tommaso fiorentino, scognominato Masaccio, mostrò con opera perfetta come quelli che pigliavano per autore altro che la natura, maestra dei maestri, s’affaticavano invano … I buoni autori studiano la natura e non l’opere d’altri autori. (Leonardo da Vinci)
Osservando il dipinto possiamo anzitutto notare come il pavimento verde, solcato da linee ortogonali che convergono al collo della Vergine, faccia da palcoscenico alle figure rappresentate riunificando i tre comparti in un unico spazio, si tratta di un palcoscenico abbastanza profondo contro il fondo oro, ancora tradizionale.
La Madonna, seduta su un trono monumentale, in una rigorosa prospettiva centrale, sorregge il Figlio in piedi sulle sue ginocchia, adorata dai due angeli inginocchiati di scorcio. Il Bambino ha due dita in bocca, probabilmente rese zuccherine dall’uva, simbolo eucaristico, che tiene nell’altra mano.
Nel comparto di sinistra compaiono due Santi martiri con gli strumenti del loro martirio: San Bartolomeo Apostolo munito del coltello conciatore e della Bibbia e San Biagio, vescovo di Sebaste in Armenia col pastorale e il pettine per cardare la lana.
Nel comparto di destra troviamo Sant’Antonio Abate con l’usuale bastone a tau e un piccolo maiale, nella sua qualità di protettore degli animali, e San Giovenale, vescovo di Narni e titolare della piccola chiesa di provenienza dell’opera. Il Santo è immerso nella lettura recitativa del Salmo 109, la scrittura del libro è quella di Masaccio, come conferma il confronto con l’unico autografo del pittore in una portata del Catasto del 1427.
Il Trittico ebbe probabilmente una committenza multipla, quella delle famiglie fiorentine che avevano a San Giovenale i loro poderi, come i Castellani e i Carnesecchi, ma anche il Vescovo di Fiesole e forse le “limosine” del popolo.
Il dipinto rimase a San Giovenale per più di cinquecento anni; nel 1890 l’ispettore delle Regie Gallerie Guido Carocci , durante una ricognizione della chiesa , lo schedò come opera di ambiente senese, finché nel 1961 Luciano Berti, dopo una attenta analisi comparativa, non ne assegnò la paternità a Masaccio.
Il Trittico fu presentato alla mostra d’Arte sacra antica e da allora è stato oggetto di un continuo interesse con studi e approfondimenti.
Inizialmente l’opera fu ospitata a Firenze nei depositi della Galleria degli Uffizi, in attesa della collocazione definitiva. La sua importanza ne giustificava la collocazione nella Galleria fiorentina accanto alla “Sant’Anna Metterza” , ma fortunatamente prevalse il criterio di mantenere le opere nel loro territorio di appartenenza e fu scelta come sede la pieve di San Pietro a Cascia, dalla quale dipendeva storicamente la chiesa di san Giovenale.
Così il Trittico ritornò a casa nel dicembre del 1988, posto all’apice della navata sinistra, per essere collocato definitivamente al Museo Masaccio nel 2007.